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  • Il Manierismo è una corrente artistica che si afferma in Italia e poi in Europa nel XVI secolo; è un fenomeno soprattutto pittorico ma influenza anche la scultura e l’architettura. Nasce contemporaneamente alla fase più matura del Rinascimento, in un periodo che vede la crisi dei valori della chiesa romana, la diffusione della religione protestante e lunghi conflitti in Europa. Il termine Manierismo indica un’arte che non cerca più di riprodurre la natura, come nel Rinascimento, ma che vuole invece rifarsi alla maniera, cioè allo stile, dei grandi maestri. Si imitano Michelangelo, Raffaello e Leonardo, esasperandone alcune caratteristiche; si realizzano così opere dove all’interno di complesse composizioni si affollano numerosi personaggi, dipinti con inusuali e poco realistici accostamenti cromatici. I primi lavori manieristi si hanno a Firenze intorno al 1520, quando alcuni artisti come Pontormo e Rosso Fiorentino, iniziano a rielaborare lo stile dei maestri. In queste opere si abbandona lo spazio prospettico e la proporzionalità delle figure tipiche del Rinascimento; nei colori non si cerca la verosimiglianza ma l’effetto drammatico. Il Manierismo si diffonde in tutta Italia e in Europa: gli artisti realizzano opere caratterizzate da una forte componente virtuosistica, colta e di estrema ricercatezza formale. Nella seconda metà del ‘500, il Manierismo va verso una ricerca dell’insolito e del fantastico che sfocia spesso in curiose bizzarrie. All’interno del Manierismo le varie personalità interpretano in modo diverso il gusto comune dell’epoca. Il Pontormo rappresenta figure sospese in uno spazio senza prospettiva, con colori chiari e innaturali. Rosso Fiorentino e Parmigianino deformano i corpi e i volti. Il Bronzino eccelle nei ritratti in cui emerge la posizione sociale piuttosto che l’approfondimento psicologico dei personaggi. La luce è invece protagonista della pittura chiara e luminosa del Veronese e di quella del Tintoretto, che rappresenta scene drammatiche con colori caldi. Il Vasari, scrittore, pittore e architetto, progetta e gestisce a Firenze importanti edifici pubblici. Cellini e Giambologna, nelle loro sculture, riflettono il gusto manieristico per la ricerca di un tecnicismo raffinato. Fuori dall’Italia il Manierismo si ritrova principalmente in Spagna, con la pittura di El Greco, e in Francia, dove fiorisce la scuola di Fontainebleau. Fin dal 1600 il Manierismo è visto come un’arte vuota e decadente. Solo nel ‘900 la critica moderna lo rivaluta, individuando in questa corrente artistica l’estetica moderna dell’arte per l’arte, svincolata dall’imitazione della natura.

  • Il Barocco è un movimento artistico che si sviluppa nel corso del Seicento. Riguarda principalmente l’architettura e le arti figurative, coinvolge però anche la letteratura, il teatro e la musica. Nato in Italia, si diffonde negli altri paesi dell’Europa cattolica. In seguito, è esportato nelle colonie portoghesi e spagnole dell’America Latina. L’arte barocca è sontuosa e spettacolare. È caratterizzata da linee curve e superfici mosse, da forti contrasti di luce e ombra, dalla ricerca di effetti drammatici. Prevale l’intento di suscitare stupore e meraviglia, intento che si ritrova sia nelle arti visive che in letteratura, teatro e poesia. Il termine “barocco” sembra derivare dall’espressione portoghese aljofre barroco, che indica una perla di forma irregolare. Nel Settecento, la definizione è usata in senso spregiativo dai critici di orientamento classicista, che deprecano lo stile barocco, ritenuto bizzarro ed eccentrico. Tra l’Ottocento e il Novecento si assiste invece a una rivalutazione dell’arte barocca, considerata come originale espressione della cultura seicentesca. Nel Seicento, gli equilibri che avevano dominato l’epoca rinascimentale si incrinano. Le scoperte scientifiche dimostrano che l’uomo non è al centro dell’universo. Ne deriva un’immagine della realtà molto complessa e articolata, che si traduce nelle forme sovraccariche dell’arte barocca. Nelle opere di questo periodo, la prospettiva centrale lascia il posto a una molteplicità di punti di vista che complica la visione. Tra i massimi esponenti dell’arte barocca spicca Gian Lorenzo Bernini. Scultore e architetto, lavora prevalentemente a Roma. A lui si deve il grandioso colonnato di Piazza San Pietro, realizzato in forma ellittica a simboleggiare l’abbraccio della Chiesa verso i suoi fedeli. Le sculture di Bernini, caratterizzate da elaborati panneggi e dalla ricerca di effetti drammatici, esprimono appieno la sensibilità barocca. Negli stessi anni, Pietro da Cortona decora chiese e palazzi con affreschi spettacolari, che sembrano sfondare il soffitto e le pareti, dilatando gli spazi. Elementi di gusto barocco si ritrovano anche nella pittura di Pieter Paul Rubens, basata sull’estrema ricchezza dei colori e delle forme. Il celebre artista fiammingo compie lunghi soggiorni in Italia e in Spagna, influenzando gli artisti locali con il suo stile magniloquente. Se l’arte barocca ha il suo epicentro a Roma, la letteratura e il teatro trovano i loro massimi esponenti in Spagna. Nelle poesie di Luis de Gongóra, ricche di metafore e di allegorie, ricorre lo stesso gusto per la meraviglia che caratterizza le arti visive. Elementi simbolici e fantastici ricorrono nelle commedie di Pedro Calderón de La Barca, che tratta con fervore anche argomenti religiosi. Il gusto barocco si diffonde in tutta Europa, sostenuto dalla Chiesa e dalla nobiltà, che attraverso le arti esibiscono il proprio potere. Numerose opere di arte barocca si trovano nelle chiese, nei palazzi e nei musei di Roma. Esempi di architettura barocca si trovano anche in Puglia, a Lecce, e in Sicilia, a Noto.

  • Canestra di Frutta: la Canestra di frutta è un dipinto a olio su tela di 31 x 47 cm, realizzato da Caravaggio intorno al 1597. Nel 1592 circa, Caravaggio si trasferisce da Milano a Roma dove lavora per il Cavalier d’Arpino, un pittore modesto ma assai accreditato: la sua bottega è una delle più famose della città. Al giovane Caravaggio, poco più che ventenne, vengono affidati soprattutto quadri con fiori, frutti e nature morte, ossia tutti quei soggetti che la pittura ufficiale considera meno prestigiosi dei quadri a tema religioso. Presto Caravaggio viene notato per il suo talento dal cardinale Francesco Maria Del Monte, che lo invita a palazzo lasciandolo libero di esercitare la sua arte. Tra le opere che il giovane pittore realizza per il cardinale c’è proprio una natura morta: la Canestra di frutta. Il quadro è l’unica natura morta di Caravaggio che non sia andata perduta. In quest’opera, la frutta è l’assoluta protagonista,: non ci sono persone a sorreggerla, né tavole imbandite da arricchire. La scelta di sottrarla a una funzione puramente decorativa nobilita un tema considerato secondario, dandogli la stessa dignità artistica della figura umana. Il soggetto è inquadrato frontalmente e realizzato con estrema concretezza plastica. La cifra artistica di Caravaggio è già evidente in quest’opera giovanile dove, attraverso la drammaticità di contrasti tonali netti e decisi, il pittore esalta il profilo e i volumi delle forme. La pera e la mela bruciate dalla luce ingaggiano un intenso conflitto cromatico con i toni scuri dell’uva nera e della foglia di vite, che è dipinta in controluce. Caravaggio non cerca una rappresentazione estetizzante, non si preoccupa che la sua frutta risulti bella o gradevole alla vista. Per il pittore il soggetto deve essere prima di tutto reale: dipingere significa accettare la realtà così com’è, senza abbellimenti e con tutte le sue imperfezioni. Anche i dettagli meno seducenti – la mela mangiata dal bruco, la foglia secca del fico o la polvere sugli acini d’uva – meritano di essere ritratti sulla tela. Caravaggio elabora in questo modo una rivoluzionaria estetica del vero, che viene però percepita dall’ambiente accademico romano come volgare e brutale. Non è chiaro come l’opera sia arrivata nelle mani del cardinale milanese Federigo Borromeo, probabilmente gli viene donata dal cardinale Del Monte nel 1599. Il Borromeo a sua volta la regala alla biblioteca Ambrosiana di Milano nel 1618. L’opera si trova oggi nella Sala 6 della Pinacoteca Ambrosiana di Milano.
    Giovane con Canestra di Frutta: “Giovane con canestra di frutta” è uno dei primi dipinti autografi di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio. L’opera, eseguita con la tecnica dei colori ad olio su tela, misura 70 x 67 cm. Con ogni probabilità la tela è realizzata tra il 1593 e il 1594 quando Caravaggio, poco più che ventenne, lavora a Roma presso la bottega del pittore Giuseppe Cesari, meglio noto come Cavalier D’Arpino. Il giovane protagonista del dipinto è il pittore siciliano Mario Minniti, allora sedicenne. Anch’egli apprendista nella bottega del Cavalier d’Arpino e grande amico di Caravaggio, Minniti diverrà presto suo collaboratore tanto da essere ritratto in numerose altre opere del Caravaggio. Raffigurato con il capo inclinato e la bocca dischiusa, la camicia sbottonata e la spalla sensualmente scoperta, il giovane Minniti tiene in mano una canestra, ossia un cesto, colma di frutta. La tela evidenzia la minuziosa attenzione di Caravaggio per il realismo dei dettagli: dalla pelle alle pieghe degli abiti del giovane, dai particolari dei frutti, dipinti secondo i diversi gradi di maturazione, sino alla lavorazione della canestra che li contiene. Già in quest’opera di gioventù si evidenzia la tecnica fondata sulla contrapposizione tra luci e ombre tanto cara allo stesso Caravaggio. Sullo sfondo del quadro si distingue infatti un’ombra, che potrebbe essere quella del pittore con la sua tela. La luce proviene invece dall’angolo superiore sinistro e coinvolge solo marginalmente i soggetti ritratti. Soggetto a molteplici interpretazioni, come l’allegoria dell’amore, dell’autunno, nonché della vita stessa, il dipinto rivela l’estrema abilità del pittore nel riprodurre in modo autentico, ma non ideale o estetizzante, il dato naturale. Tale mirabile rappresentazione del vero troverà la sua completa maturazione con Canestra di Frutta, quadro eseguito da Caravaggio nel 1596. La bottega del Cavalier D’Arpino ospita Giovane con canestra di frutta sino al 1607, quando il pittore arpinate è incarcerato e i sui beni sequestrati. Poco dopo, il dipinto entra a far parte della collezione del cardinale Scipione Borghese. Il dipinto è conservato nella Sala del Sileno, la Sala 8 della Galleria Borghese a Roma.
    Vocazione di San Matteo: la Vocazione di San Matteo è un dipinto ad olio su tela di 3 metri e 22 cm x 3 metri e 40, realizzato da Caravaggio intorno 1599. Il dipinto è la prima commissione pubblica ottenuta a Roma da Caravaggio per la chiesa di San Luigi dei Francesi. L’opera fa parte di un gruppo di tre quadri destinati alla cappella del cardinale Matteo Contarelli. Il quadro raffigura l’episodio evangelico in cui Matteo, esattore delle tasse attaccato al denaro, abbandona il suo lavoro per seguire Gesù. La scena si svolge in un ambiente angusto, appena rischiarato dalla luce fioca che proviene da una finestra. Matteo è seduto a un tavolo, con altri quattro esattori, per la conta del denaro. Tutti sono abbigliati con vestiti moderni, come quelli in uso ai tempi di Caravaggio; è una delle prime volte che si ambienta un evento sacro nel presente e lo si dipinge con estremo realismo. Sulla destra due figure irrompono nella scena: sono Cristo e san Pietro. Con loro entra un fascio di luce che si proietta sugli uomini, accende i volti, le mani e parti dell’abbigliamento, lasciando il resto nell’oscurità. Gesù, col gesto imperioso della mano tesa, indica Matteo, e Matteo indica se stesso, stupefatto di essere proprio lui il prescelto. I due esattori più giovani si volgono verso Cristo ma non colgono la grandezza dell’evento. Gli altri non sollevano neppure la testa e continuano a contare il denaro. La vocazione di San Matteo segna un punto di svolta nel modo in cui Caravaggio illumina le sue opere: nei quadri precedenti la sua pittura è ancora “chiara”, le immagini stanno sullo sfondo nette e senza contrasti, la luce è per lo più diffusa. Da questo momento l’illuminazione della scena diventa invece direzionale: la luce squarcia l’oscurità da diverse angolazioni con violenta intensità drammatica. La luce, nella Vocazione di San Matteo, è il simbolo della Grazia divina che investe tutti gli uomini: solo Matteo però risponde alla chiamata di Gesù. É la trasposizione pittorica del concetto di libero arbitrio: ogni uomo può scegliere se seguire o no la via della salvezza. Il dipinto viene restaurato nel 1939 e poi nel 1965. Le radiografie eseguite nel corso del restauro rivelano che la figura di san Pietro è stata aggiunta in un secondo momento, probabilmente per inserire nel quadro un riferimento diretto alla Chiesa, mediatrice tra Dio e l’uomo. La Vocazione di san Matteo si trova nella Cappella Contarelli della chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma.

  • Biografia: Architetto, pittore, scenografo, Gian Lorenzo Bernini è uno dei maggiori scultori del ‘600 italiano. Le sue opere tendono a superare i limiti della scultura, dialogano con lo spazio architettonico e urbano, e interpretano la tendenza del periodo barocco a fondere tutte le arti. Figlio dello scultore fiorentino Pietro Bernini, Gian Lorenzo nasce a Napoli il 7 dicembre del 1598. Il padre rientra a Roma con la famiglia nel 1605 per lavorare nei cantieri di papa Paolo V Borghese; proprio in questa città Gian Lorenzo compie la sua formazione artistica studiando la scultura classica e la pittura di Caravaggio. Inizialmente allievo del padre, ne diventa poi uno dei collaboratori; la sua grande abilità nell’arte scultorea emerge fin dalle prime opere, realizzate intorno al 1615. Tra i suoi committenti iniziali ci sono le grandi famiglie patrizie di Roma: i Borghese, i Barberini e gli Aldobrandini. Per il cardinale Scipione Borghese esegue quattro gruppi scultorei che lo tengono impegnato dal 1619 al 1625. Si tratta di Enea e Anchise, del Ratto di Proserpina, del David e di Apollo e Dafne, opere dal potente dinamismo, dall’efficace virtuosismo tecnico, e dall’espressiva rappresentazione psicologica. Successivamente Bernini viene scelto da Maffeo Barberini, il futuro papa Urbano VIII, per la realizzazione di spettacolari progetti urbanistici e architettonici a Roma. Esegue due tra i suoi capolavori: l’innovativo Baldacchino di San Pietro, con le sue colonne tortili, e l’imponente Monumento funebre di Urbano VIII, commissionato nel 1628. Nel 1629 Bernini, al culmine della fama, viene nominato architetto di San Pietro. Quando però diventa papa Innocenzo X, la carriera di Gian Lorenzo subisce una battuta d’arresto: il suo ruolo di primo piano nel cantiere della famosa basilica è messo in discussione dal cedimento di uno dei campanili da lui stesso progettati: l’architetto preferito del nuovo papa diventa Francesco Borromini. In questi anni, nella Cappella Cornaro, Bernini inserisce L’estasi di Santa Teresa d’Avila, complesso scultoreo che spicca per il sensuale misticismo della santa, e per la suggestiva impostazione scenografica. Su commissione di Innocenzo X, negli anni a cavallo del 1650, realizza la Fontana dei Quattro Fiumi di piazza Navona; l’opera è ricca di riferimenti allegorici e naturalistici dallo spettacolare impatto visivo, volto a suscitare meraviglia. Negli anni successivi Bernini si dedica soprattutto alla realizzazione di progetti architettonici, come il Palazzo di Montecitorio a Roma, la Chiesa di Sant’Andrea al Quirinale, ed è incaricato di seguire la conclusione dei lavori per l’emiciclo di piazza San Pietro: tutta la piazza è avvolta nell’abbraccio del suo colonnato. Gian Lorenzo Bernini muore il 28 novembre del 1680, all’età di quasi 82 anni.
    Il David: il David è una scultura in marmo alta un metro e settanta realizzata a Roma da Gian Lorenzo Bernini tra il 1623 e il 1624. Quando riceve l’incarico di scolpire il David dal cardinale Scipione Borghese, l’artista ha venticinque anni; nello stesso periodo gli vengono commissionate anche le sculture di Enea e Anchise, il Ratto di Proserpina e Apollo e Dafne. Bernini rappresenta il David nel momento in cui l’eroe biblico, armato solo di una fionda, affronta il gigante Golia. A terra si trovano l’armatura e l’arpa di David, sulla quale è ben visibile una testa d’aquila, simbolo della dinastia dei Borghese. Il David di Bernini si inserisce in una consolidata tradizione iconografica: già nel rinascimento, Donatello, Verrocchio e Michelangelo scolpiscono l’eroe biblico. Il David rinascimentale viene immortalato in posa eretta, immobile, meditativo, consapevole della propria virtuosa superiorità. Contro ogni precedente tradizione Bernini cerca invece di catturare il movimento e scolpisce David durante lo sforzo fisico della lotta: la muscolatura tesa e il torace incurvato fissano la scena nel marmo restituendo una rappresentazione di stupefacente istantaneità. Nella particolare torsione del busto si riconoscono i modelli da cui Bernini, probabilmente, trae ispirazione: il Discobolo di Mirone e il Polifemo di Annibale Carracci. La composizione scultorea è pensata per essere guardata da diverse angolazioni in modo da cogliere lo slancio rotatorio e i complessi elementi dinamici della figura. Osservando la statua da destra si ha l’impressione dello sbilanciamento del peso di David su una gamba nell’atto di caricare il colpo di fionda. Frontalmente la scena appare invece quasi congelata: è il gesto decisivo, quello che precede lo scatto violento del lancio della pietra. L’immobilità rende al meglio il momento di massima tensione, ovvero quell’attimo sospeso tra i due movimenti contrapposti del corpo che si carica e del suo successivo rilascio. Nel volto di David, dalla fronte corrucciata e dalle labbra serrate, pare che Bernini abbia riprodotto il proprio volto, una sorta di autoritratto in cui l’espressione di fatica dell’eroe è l’immagine dello sforzo dello scultore mentre vince la durezza del marmo. Un aneddoto vuole che sia il Cardinale Maffeo Barberini, il futuro Papa Urbano VIII, a sorreggere lo specchio in cui Bernini si vede riflesso durante il lavoro. Il David di Bernini si trova a Roma nella Galleria Borghese.
    Il Baldacchino: il Baldacchino di San Pietro è una scultura monumentale realizzata da Gian Lorenzo Bernini tra il 1624 e il 1633. Capolavoro dell’arte seicentesca, quest’opera riveste anche un forte valore simbolico per il Cristianesimo. Si trova infatti al centro della Basilica di San Pietro, nel luogo in cui fu sepolto Pietro, l’apostolo che secondo i vangeli fu scelto da Gesù come fondatore della Chiesa cristiana. Quando riceve l’incarico per il Baldacchino di San Pietro, Bernini ha venticinque anni. Ha già dato prova della sua abilità realizzando sculture di soggetto sacro e mitologico, e si è già conquistato una cerchia di committenti importanti tra i nobili e i cardinali di Roma. Nel 1623 è eletto papa Maffeo Barberini, che sale al soglio pontificio con il nome di Urbano VIII. Tra le prime preoccupazioni del nuovo pontefice ci sono i lavori per completare la Basilica di San Pietro, l’edificio più importante del mondo cristiano. Il Papa incarica Bernini di eseguire una scultura monumentale per la Basilica. Deve essere collocata al centro dell’edificio, dove sorge l’altare maggiore, in corrispondenza della tomba di San Pietro e proprio sotto la maestosa cupola progettata da Michelangelo. Bernini concepisce un’opera innovativa e spettacolare. Una scultura monumentale, alta ventotto metri e mezzo. La forma riprende quella del baldacchino papale, la struttura che accompagna il pontefice durante le processioni. Il baldacchino è a pianta quadrata. Dai basamenti di marmo posti agli angoli, si slanciano quattro colonne in bronzo, che sembrano avvitarsi su se stesse fino a giungere ai capitelli e all’elaborata copertura in legno dorato. In cima all’imponente baldacchino, svettano quattro figure di angeli. Al centro, due putti sorreggono le chiavi di San Pietro e la corona papale. Il baldacchino di Bernini rappresenta una sintesi tra architettura e scultura. La mole imponente del baldacchino ha infatti un impianto architettonico: basti pensare che l’altezza del baldacchino supera quella di un palazzo signorile. L’esecuzione, invece, è prettamente scultorea: l’abilità di Bernini gli consente di trattare materiali duri come fossero morbidi e leggeri, conferendo movimento e dinamismo alle forme. L’esecuzione della grandiosa scultura si protrae per quasi dieci anni. Il baldacchino è inaugurato da Urbano VIII nel 1633. A Bernini verranno commissionati numerosi altri incarichi per la Basilica di San Pietro, compresa la sistemazione della piazza.
    L’Estasi di Santa Teresa: l’Estasi di Santa Teresa è una scultura in marmo e bronzo realizzata da Gian Lorenzo Bernini tra il 1647 e il 1652. Durante il pontificato di Urbano VIII Bernini vive a Roma ed è uno scultore e architetto conosciuto. Il Papa si fida di lui e gli commissiona numerose opere. Quando Innocenzo X sale al soglio pontificio, però, la sua carriera subisce una battuta d’arresto: l’architetto preferito dal nuovo Papa è, infatti, Francesco Borromini. Bernini si concentra sulle committenze private. È in questi anni che il cardinale Cornaro gli affida la ristrutturazione della chiesa di Santa Maria della Vittoria, per ricavare al suo interno la cappella di famiglia. In una nicchia della cappella Bernini inserisce il gruppo scultoreo de L’Estasi di Santa Teresa. L’opera rappresenta Santa Teresa d’Avila, canonizzata nel 1622; la Santa racconta nei suoi scritti di aver visto un bellissimo angelo trafiggerle più volte il cuore con una lancia infuocata, risvegliando in lei l’amore per Dio; Bernini sceglie di ritrarla proprio nel momento dell’estasi mistica. Scolpita morbidamente nel marmo levigato, Santa Teresa reclina la testa e si abbandona all’angelo che la trafigge: gli abiti sono scomposti, gli occhi chiusi, la bocca semiaperta. Bernini realizza una statua che esprime misticismo e al tempo stesso sensualità, dove il sentimento religioso scuote i sensi della Santa in una scena di vera passione ascetica. Bernini, oltre a essere architetto, scultore e pittore, è anche scenografo e padroneggia le tecniche delle macchine teatrali. La scultura, infatti, è rialzata da terra come fosse su un palcoscenico. L’effetto visivo è spettacolare: la Santa, sospesa su una nuvola, sembra salire al cielo. Affacciate a due palchetti laterali, le statue che rappresentano i committenti assistono alla scena dell’Estasi, proprio come fossero a teatro. In alto, nella cupola della nicchia, un’apertura nascosta allo spettatore illumina un semicerchio di raggi dorati che incorniciano la scultura; questa finestrella, come un occhio di bue, inonda la scena di luce naturale e crea effetti chiaroscurali di grande impatto emotivo. Interpretando lo spirito del seicento barocco, Bernini realizza una suggestiva rappresentazione dell’estasi di Santa Teresa in cui la composizione scultorea dialoga con lo spazio architettonico coinvolgendo lo spettatore in un’esperienza molto vicina alla rappresentazione teatrale. L’Estasi di Santa Teresa si trova nella Cappella Cornaro di Santa Maria della Vittoria.

  • Biografia: Francesco Castelli, conosciuto come il Borromini, è un architetto italiano della prima metà del XVII secolo. Insieme a Bernini è il maggior interprete dell’architettura del periodo barocco. Borromini nasce il 27 settembre del 1599 a Bissone, in Svizzera. Intorno al 1608 si trasferisce a Milano dove lavora come scalpellino e intagliatore di marmi. Nel 1620 è a Roma. La città vive in questi anni l’apice della cultura barocca. Si diffonde una nuova concezione dello spazio: l’architettura si fa dinamica e ricorre alla teatralità delle forme e a un uso suggestivo della luce. Borromini inizia a collaborare con l’architetto Carlo Maderno nel cantiere della basilica di San Pietro. Alla morte di Maderno diventa assistente del nuovo direttore dei lavori, lo scultore-architetto Gian Lorenzo Bernini, che affiancherà anche a Palazzo Barberini. Tra i due nasce una rivalità artistica e personale che andrà avanti per tutta la vita. A 36 anni Borromini riceve il suo primo incarico come architetto autonomo: la chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane. Gli spazi sono concepiti in un’alternanza di forme concave e convesse: le pareti si curvano, le colonne sporgono e arretrano, la cupola appare schiacciata dall’effetto prospettico dei quattro archi a cassettone. Tutto l’edificio segue una linea inquieta ed elaborata. Anche la facciata dell’Oratorio dei Filippini, costruita negli stessi anni, è giocata su una linea concava in un’alternanza di elementi sporgenti e rientranti. Nel 1642 Borromini inizia la costruzione della chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza, una delle sue opere più rappresentative. Due triangoli invertiti e sovrapposti disegnano la pianta dell’edificio, gli incroci delle pareti vengono smussati e morbide curvature modellano l’andamento mosso della cupola. Nel 1644 Innocenzo X diventa papa; Borromini entra nelle grazie del nuovo pontefice che lo preferisce a Bernini. Iniziano così le prime commissioni papali, tra cui il restauro della basilica di San Giovanni in Laterano. Borromini lavora rispettando l’impianto originario dell’edificio, ma frena l’andamento ritmico degli archi intervallandoli con pilastri. Il risultato è un effetto di insolita serenità stilistica e grande solennità. Tra i numerosi incarichi di questi anni c’è anche la progettazione della chiesa di Sant’Agnese in Agone a piazza Navona, dove la curvatura concava della facciata interrompe la linea retta della piazza. La sua ultima opera è la facciata di San Carlo alle Quattro Fontane. Quando nel 1655 Innocenzo X muore, Borromini perde il suo più illustre estimatore e la sua carriera s’interrompe. Colpito da una profonda crisi, Borromini si toglie la vita all’età di 68 anni trafiggendosi con una spada. È l’estate del 1667. 

  •  Las Meninas è un dipinto ad olio su tela di 3 metri e 18 cm per 2 metri e 76,realizzato da Diego Velázquez nel 1656. Velázquez è uno dei più importanti pittori spagnoli del ‘600 barocco; nei primi anni di attività, influenzato dalla pittura di Caravaggio, si dedica alla raffigurazione di personaggi popolari. Dal 1623, però, Velázquez lavora come ritrattista alla corte madrilena di Filippo IV, dove realizza dipinti di nobili e reali. Las Meninas è considerato il capolavoro della maturità artistica; negli anni in cui viene dipinto, Velázquez è il più illustre e il più stimato dei pittori spagnoli. Las Meninas, cioè le damigelle di corte, è una tela di vastissime dimensioni. La scena è ambientata nel vero studio di Velázquez. Al centro della composizione c’è l’Infanta di Spagna; la bambina è circondata da due damigelle d’onore, alcuni buffoni di corte e un cane. Sul lato sinistro è visibile Velázquez stesso, che dipinge un’enorme tela di cui è però visibile soltanto il retro. Lo sguardo dei personaggi è rivolto verso lo spettatore. La luce è studiata in modo da perdere di intensità man mano che si avanza nella profondità del quadro. Nel fondo scuro, una porta aperta è l’unica fonte di luce. Nella parte alta del dipinto sono riprodotti Atena che punisce Aracne di Rubens e la Contesa di Apollo e Pan di Jordaens. Uno specchio appeso sulla parete di fondo, evidente riferimento al fiammingo Van Eyck, crea un gioco di complessi rimandi visivi all’interno dell’opera. Esso infatti riflette i sovrani di Spagna Filippo IV e Marianna d’Austria: sono loro il misterioso soggetto della tela che il Velázquez ritratto nel quadro sta dipingendo; la loro vera posizione coinciderebbe quindi con quella dello spettatore, verso cui convergono gli sguardi dei personaggi della scena. L’osservatore varca così la cosiddetta “quarta parete” e viene coinvolto direttamente nel quadro: è infatti tipico del gusto barocco concepire le arti figurative in modo simile al teatro. L’illusione di partecipare direttamente alla scena la prova anche lo scrittore Théophile Gautier, che di fronte a Las Meninas pare abbia chiesto: “Dov’è il quadro?” Nel 1957 Picasso renderà omaggio a Velázquez in una serie di quadri che si ispirano a Las Meninas. Las Meninas si trova al museo del Prado di Madrid.